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Yeshua

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LA CROCE DI SPINE

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IL PENSIERO PAOLINO TRA I DUE MESSIA

 

Nulla è detto a caso nei Vangeli e negli Atti: spesso, dietro ad episodi grottescamente banalizzati, come quelli inerenti i dissapori sugli incirconcisi tra Paolo e la cosiddetta Chiesa di Gerusalemme che faceva capo a Giacomo, si nascondono conflitti ideologici che diedero luogo ad eventi di portata ben più vasta.

Infatti, le narrazioni del “tradimento” paolino, minimizzato dietro un’improbabile disputa tra puristi della tradizione giudaica e progressisti di cultura ellenistica, nascondono proprio il generale (ma anche geniale) voltafaccia che le correnti revisioniste dell’essenismo perdente posero in essere ai danni di quel movimento zelota, nonostante tutto ancora non rassegnato al fallimento dei propri disegni e, quindi, non ancora disposto a tradire la memoria, il senso e la storia di quel messia che più di ogni altro si era avvicinato alla realizzazione del sogno di libertà dall’oppressore romano.

 

Il Cristo dei Vangeli non nacque all’improvviso: dalle parole attribuite a Paolo nelle lettere e negli Atti, emerge una testimonianza ancora priva di connotazioni storiche e di un volto terreno, somigliante al principio ancestrale ed eterno del logos immateriale più che ad un uomo in carne ed ossa.

 

Provando poi ad epurare le lettere paoline (quelle ritenute almeno in parte autentiche) da tutte le parti contenenti i pur vaghi riferimenti alla crocifissione (in quanto possibili interpolazioni inserite dai “santi” falsari dei primi secoli), il tessuto espositivo rimanente è assolutamente scorrevole, coerente e privo di qualsiasi vuoto, smagliatura o lacuna che renda necessaria l’introduzione di frasi o parole per raccordare i periodi tra loro.

Una testimonianza resa in questi termini non appare ancora collegata in alcun modo alla vicenda storica del messia davidico, e pertanto non può più costituire una contraffazione storico-anagrafica a carico di questo (che troverà invece pieno compimento nei Vangeli quasi un secolo dopo), ma a prescindere dalla conflittualità nazionalistica e proponendo un’alternativa di superamento e distensione al messianismo rivoluzionario, tradisce piuttosto il senso politico e sacrale della sua missione (fatto comunque inaccettabile per la comunità gerosolimitana).

Dalle epistole paoline, epurate dai riferimenti alla crocifissione, emerge piuttosto un diverso volto e un differente messaggio che appare condizionato ed appiattito dalla mentalità farisaica del suo autore: ecco la vera strumentalizzazione, ecco il vero tradimento!

Ad essere stravolte ed asservite alla “sedazione” dei popoli ed alla perpetrazione della loro schiavitù sono le parole di un “illuminato”, autentica testimonianza di amore incondizionato per Dio.

È quello stesso amore che trapela dai “detti” del “Signore” riportati nel Vangelo di Tommaso o dalle parole del discorso della montagna, dove la difesa delle classi povere e la condanna della ricchezza (aspetti riscontrabili anche nella già citata lettera di Giacomo) assumono un tono rivendicativo non dissimile da quello espresso nelle moderne ideologie socialiste.

Le lettere paoline, una volta perso l’indefinito, sospetto e fuorviante riferimento alla croce, al suo indecifrabile valore salvifico e alla sua oscura funzione riabilitativa di respiro universale, sembrano testimoniare (e strumentalizzare) un solo messia che il Vangelo di Tommaso, dal canto suo, chiama “Vivente” e lo stesso Paolo di Tarso, negli anni 60 del primo secolo, affermò essere ancora in vita:

 

“… avevano solo con lui alcune questioni relative la loro particolare religione e riguardanti un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere ancora in vita “. (At., 25, 19)