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Yeshua

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LA CROCE DI SPINE

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LA VERA CITTÁ DEL NAZARENO

 

Abbandoniamo solo per un momento la setta zelota, il suo fondatore e la sua famiglia per ritornare al “Gesù” dei Vangeli.

Secondo l’edulcorato quadro trasmesso dalla tradizione evangelica, il “Figlio di Dio”, ignaro delle tensioni politiche e lontano dai fermenti insurrezionali della setta zelota, sarebbe cresciuto fra i colli di Galilea, a Nazareth, in un villaggio:

 

-           con una sinagoga;

-           collocato in cima a un monte;

-           sul ciglio di un precipizio;

-           nei pressi del lago di Tiberiade

-          ad est del lago stesso (secondo alcuni dettagli dai quali si può ricostruire la dinamica degli spostamenti di Gesù e dei suoi discepoli).

 

Tutti questi sono aspetti logistici della presunta Nazareth, rilevabili dai racconti degli Evangelisti e fondamentali per identificare correttamente il luogo.

Tuttavia, come già detto, Nazareth nel I secolo non era ancora un centro abitato e inoltre:

 

-          la sinagoga rinvenuta è del II- III secolo;

-          non si trova in cima ad un monte ma in pianura;

-          non si trova sul ciglio di un precipizio;

-          è ben lontana dal lago di Tiberiade (35 Km di distanza,);

-          è a sud del lago rispetto al quale non è situata ad oriente ma eventualmente ad occidente.

 

Confrontando, invece, questi aspetti con quelli di tutte le città conosciute nella Palestina del tempo, soltanto una di esse risponde perfettamente a tutte le caratteristiche rilevate nei racconti neotestamentari:

 

La città è Gamala nel Golan , patria di Giuda il Galileo e roccaforte del movimento zelota!

 

Nel 1967, durante la guerra dei sei giorni, a seguito di scavi archeologici, riapparvero i resti della città, nota fino ad allora soltanto dalle descrizioni rese da Giuseppe Flavio.

 

Nei pressi delle mura venne scoperto un importante edificio pubblico, identificato come sinagoga, di forma rettangolare (25.5 x 17 m.) ed orientato da nord est a sud ovest verso Gerusalemme.

 

Ecco l’accennata antica descrizione della città:

 

"...Da un'alta montagna si protende infatti uno sperone dirupato il quale nel mezzo s'innalza in una gobba che dalla sommità declina con uguale pendio sia davanti sia di dietro, tanto da rassomigliare al profilo di un cammello; da questo trae il nome, anche se i paesani non rispettano l'esatta pronuncia del nome. Sui fianchi e di fronte termina in burroni impraticabili mentre è un po' accessibile di dietro, dove è come appesa alla montagna ma anche qui gli abitanti, scavando una fossa trasversale, avevano sbarrato il passaggio... Le case costruite sui ripidi pendii erano fittamente disposte l'una sopra l'altra: sembrava che la città  fosse appesa e sempre sul punto di cadere dall'alto su sé stessa.

Affacciava a mezzogiorno, e la sua sommità meridionale, elevandosi a smisurata altezza, formava la rocca della città, sotto cui un dirupo privo di mura piombava in un profondissimo burrone; dentro le mura v'era una fonte e ivi la città terminava.." (15).

 

Tale città, per anni, fu vista come "il fumo agli occhi" da Roma, in quanto era considerata patria della ribellione organizzata antiromana.

Da un accurato racconto di Giuseppe Flavio (16), sappiamo che diede addirittura filo da torcere alle legioni di Vespasiano, che solo dopo un difficile assedio la distrussero.

Ecco, quindi, che passi come quello di Luca e di Marco di seguito riportati, cominciano ad apparire più chiari:

 

"...Si recò a Nàzaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore". Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: - Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi - ... All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò..." (17).

 

"...intanto si ritirò presso il mare (il lago Kinneret) con i suoi discepoli e lo seguì molta folla... salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono con lui... entrò in casa e si radunò attorno a lui molta folla, al punto che non potevano nemmeno prendere cibo... allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo... giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare... di nuovo si mise ad insegnare lungo il mare (di Galilea). E si riunì intorno a lui una folla enorme..." (18).

 

Dissolta la nebbia dallo scenario sul quale si muove il Gesù dei Vangeli, appare chiaro il doppio risultato al quale puntarono gli Evangelisti: con il ricorso all’espediente geografico, offuscarono le tracce del vero Nazareno, con tutte le conseguenti pericolose implicazioni ideologiche allo stesso connesse e, nel contempo, utilizzarono l’identità storica del messia davidico a vantaggio del mito di Gesù, dopo averlo prudenzialmente allontanato dalla città di provenienza, nota per essere la base logistica della ribellione messianista zelota.

Infatti, quanto detto a proposito del titolo di Nazareno, che qualora compreso per la sua reale accezione religiosa e politica avrebbe reso difficile la promozione dell’uomo-Dio ebreo a “Re del Mondo”, vale ancora di più per la sua provenienza da Gamala che, se nota, avrebbe comportato per lo stesso il forte sospetto (se non la certezza) di appartenenza al pericoloso fronte della lotta armata. Con essa non può ideologicamente trovare coesistenza l’immagine apolitica di Redentore delle anime, al quale non interessa combattere i regni del mondo perchè interamente volto a quello dei cieli (19).

 

Ecco il progetto al quale si ispirò la montatura neotestamentaria: ricostruire la figura del Cristo epurandola da tutto ciò che ne avrebbe potuto compromettere l’universalità e la spiritualità (compresa la provenienza da una città tristemente nota), evitando così di insinuare, nel pubblico romano, il sospetto che il “Salvatore del mondo” fosse, in realtà, un nemico di Roma.

 

Curiosamente, sembra che Michail Bulgakov (1891-1940), scrittore e drammaturgo ucraino della prima metà del XX secolo, sapesse qualcosa già molto tempo prima che le ricerche archeologiche individuassero il sito dimenticato della città di Gamala (20), in anticipo di molti anni sulle prime ricerche storiche che giunsero ad individuare in tale città la patria del messia (21).

Infatti, scrivendo negli anni 1930/40 il romanzo Il Maestro e Margherita, immaginò uno strano dialogo tra Cristo e Pilato:

 

“ Nome?... - Yeshua rispose rapido l'accusato. Hai un soprannome? Hanozri Di dove sei? Della città di Gamala,  rispose l'arrestato indicando con un movimento della testa che laggiù, lontano, alla sua destra, verso nord, esisteva una città chiamata Gamala. Di che sangue sei? Non lo so di preciso, rispose pronto l'arrestato, non ricordo i miei genitori. Mi dicevano che mio padre era siriano..”

 

Il fatto è troppo singolare per poter pensare ad una mera coincidenza: quindi, rifiutando qualsiasi spiegazione fondata su inverificabili illuminazioni esoteriche o suggerimenti medianici, non resta che giustificare la straordinaria intuizione sulla base di una conoscenza in qualche modo acquisita dall’autore dell’immaginario confronto.

Non dev’essere, a tal proposito, un caso il fatto che Michail Bulgakov fosse figlio di Afanasij Ivanovič Bulgakov, un professore di storia e critica delle religioni occidentali che da studioso, forse prima di altri , si rese conto della reale provenienza di Cristo (o meglio del suo “alter ego” terreno), forse perché ebbe accesso ad antiche fonti, a tutt‘oggi a noi ignote.