RITORNA ALLA HOME PAGE

 

                        

Yeshua

 

RITORNA ALL'ELENCO ARTICOLI

ACCEDI AL LIBRO

 

 

 
    Spazio Google adsense         
                 
 

Yeshua ben Panthera e i limiti oggettivi delle fonti rabbiniche

 

Email di Tiziano

Salve,

A pag. 251 del suo libro lei scrive: "...Questo figlio di Stada era il figlio di Pandira. Infatti il rabbino Chasda ci dice che Pandira era il marito di Stada, sua madre, ed egli visse durante la vita di Paphus, il figlio di Jehuda. Ma sua madre era stada, Maria di Magdala (una parrucchiera per signore) che, come dice il Pumbadita, aveva lasciato il marito.”

Questo testo compare sia in Sanhedrin 67a (citato da lei nella nota 141) che in Shabbat 104b.

A pag. 130 del libro "Gesù nelle Fonti Extrabibliche" di Robert E. Van Voorst (Edizioni San Paolo, 2004) viene riportata una versione diversa: "...Ben Stada è Ben Panthera. Rabbi Chisda [d. 309] disse: "Il marito era Stada e l'amante era Panthera". No, il marito era Pappos ben Yehuda e la madre era Stada. No, la madre era Miriam la parrucchiera delle donne [ed era chiamata Stada]. Come diciamo a Pumbeditha: È stata falsa [satah da] verso il marito (b. Shabbat 104b)".

A pag. 270 del libro "Testi Giudaici per lo studio del Nuovo Testamento", a cura di Hans G. Kippenberg e Gerd A. Wewers (Paideia Editrice, 1987. Edizione italiana a cura di Giulio Firpo) compare lo stesso testo, ma in una versione diversa dalla sua e più vicina a quella di Van Voorst: Bab. Shabbat 104b: " Ben Stada ? (No,) è stato Ben Pandera! Rab Hisda (babilonese, morto nel 309) ha detto: "Il marito era Stada, l'amante era Pandera". Il marito era (tuttavia) Pappos ben Judah (tannaita, ca. 110) ! Sua madre era Stada. Sua madre era (tuttavia) Mirjam (, colei) che intrecciava i capelli delle donne! Come si disse in Pumbedita: "Ella ha fornicato lontano (setat da) da suo marito"".

A pag. 332 nota 5 del libro "Gesù Ebreo" di Riccardo Calimani (Mondadori, 1998) è scritto: "Ben Stada è Ben Pandera? Disse Rav Chisdà: Stada è il marito, Pandera (o Pantera) ha posseduto la donna. Il marito è Pappos ben Jehudàh, la madre Stada. La madre era Miriam la parrucchiera come dicono a Pumbedita; costei ha deviato dal marito (satad dà)" (Talmud Babilonese, Shabbat 104b e Sanhedrin 67a).

Mentre il passo da lei riportato afferma che PANDIRA ERA IL MARITO DI STADA e che VISSE DURANTE LA VITA DI PAPHUS, IL FIGLIO DI JEHUDA, lo stesso passo, riportato nei 3 testi summenzionati, afferma, invece, che PANTHERA/PANDERA ERA L'AMANTE e che PAPPOS BEN YEHUDA/JUDAH/JEHUDAH ERA IL MARITO.

Cordiali saluti,
 

Risposta di Giancarlo Tranfo

Gentile Tiziano,

dalla sotto riportata sua, che mi è gradita, ho capito che lei ha una sicura dimestichezza con gli studi inerenti l’antica letteratura rabbinica, con particolare riguardo alle ricerche sul personaggio di Gesù (Yeshua) nella stessa attestato.

 

Non devo quindi insegnarle nulla e mi limito soltanto ad un paio di brevi precisazioni (che ovviamente lei è libero di condividere o meno): una sul senso che ho inteso attribuire all’appellativo “Stada”, l’altra, di carattere generale, sul senso da dare al complesso di testimonianze talmudiche (ed extratalmudiche) inerenti il citato personaggio.

 

1)       nella stessa pagina da lei menzionata (251) ho evidenziato che la probabile origine della parola “Stada” è nell’espressione stah- tah- dah  che significa all’incirca “colei che ha abbandonato il marito”. Stada, quindi, non sarebbe il nome del marito della donna che partorì Yeshu ma un soprannome nato dalla contrazione di un’espressione alla stessa riferita. Sul fatto poi che poi Panthera ne fosse l’amante non vi sono dubbi. Ecco perchè Yeshu poteva essere indifferentemente considerato come ben Panthera o, ben Stada. Infatti, riguardo al rapporto tra la donna e Panthera, io non affermo che lo stesso ne fosse il marito ma mi limito a riferire un passo nel quale ciò è detto, senza sottolineare tale qualità (il passo l’ho ritenuto degno di menzione per l’aspetto della sostanziale confluenza dei due patronimici sul medesimo individuo). Tale mia posizione  “apre la porta” alla seconda precisazione.

 

2)       Sarebbe un grave errore trattare le fonti rabbiniche al pari di quello ellenistico- romane. Dalle seconde possiamo aspettarci  un puntuale ricostruzione di eventi, una precisa descrizione dei caratteri storici dei personaggi ed una corretta collocazione contestuale degli stessi (salvo l’inquinamento degli intenti mistificatori indotti dalle particolari posizioni politiche degli autori e, soprattutto, dello stesso F. Giuseppe), dalle fonti rabbiniche no. Esse, infatti, appaiono condizionate da più limiti: a) l’esigenza di ricostruire la fisionomia culturale e con essa l’identità nazionale di un popolo che non aveva più il proprio riferimento nel tempio e, settant’anni dopo la grande guerra, a seguito della disfatta del “figlio della stella”, non aveva più nemmeno la propria “città santa” ed era ormai “errante” nel mondo: tale ricostruzione (scritta) fu affidata nel IV secolo ai ricordi tramandati per via orale a partire dal II; b) l’esigenza di creare un universo culturale e fideistico simile ad un microcosmo blindato ed inaccessibile per popoli e culture ad esso estranee (soltanto così era possibile proteggerlo dalla deteriorazione, conseguenza  inevitabile di “mescolanze” incontrollabili), proteggendolo altresì dalla feroce distruzione censoria della Chiesa. Per sortire tale risultato,  intere narrazioni, sentenze, discussioni e approfondimenti della Mishnah e della Ghemarah furono resi criptici e fuorvianti; c) l’esigenza di difendersi dal feroce antisemitismo derivante dall’accusa di deicidio: evidentemente per gli eredi del mondo farisaico (al quale era affidata detta ricostruzione) il modo migliore fu la reazione affidata alla parodia: se Gesù di Nazareth era all’origine dei propri guai, valeva la pena “farne il verso” evidenziandone in maniera grottesca le caratteristiche negative (apostasia... stregoneria... impostura ecc.). D’altra parte, confusa la memoria storica di fatti ormai lontani (per via di tragici eventi di portata epocale che avevano decimato più di una generazione), essi stessi furono i primi a ritenere Gesù un personaggio reale e si sforzarono di delegittimarne natura e discendenza divina.

 

Alla luce di tutto questo,  a mio avviso il compito di chi intenda trarre dalla letteratura in questione elementi reali utili a disegnare la corretta fisionomia del controverso messia (che secondo me, a parte l’erede davidico condannato alla croce negli anni 40, altri non è che il “sacerdote di Aronne” dei rotoli di Qumran) non può andare oltre la cattura, nelle confuse narrazioni in questione, di brevi “flash” da mettere insieme come fotogrammi di un film fortuitamente ripescati, in condizioni precarie, in mezzo ad un mare di altri che appartengono a diverse pellicole.

Ecco perchè penso che stabilire con precisione se Panthera fosse il marito della madre di Yeshu oppure l’amante della stessa, è chiedere troppo ad una fonte che, per quello che può, già ci dice tanto informandoci della discendenza di Yeshu da detto soldato romano (del quale è stata perfino rinvenuta l’epigrafe tombale).

La preziosa “cartina tornasole” di queste poche informazioni “abbastanza” certe è Celso che nel II secolo faceva parte di un diverso mondo (quello romano), sicuramente al corrente di certi “capisaldi” sui quali già prendeva corpo la “favola di Gesù” ma probabilmente ignaro di particolari “dicerie” circolanti in seno alle comunità ebraiche, due secoli dopo raccolte nella letteratura talmudica. E’ dall’ “incrocio” del “discorso veritiero” con le narrazioni rabbiniche che possiamo trarre poche preziose conferme inerenti Gesù figlio di Panthera (l’emigrazione in Egitto, l’apprendimento delle arti magiche, la discendenza illegittima ecc.).

Un’ulteriore conferma ce la regala il solito vizio delle “penne cristiane” (Luca ne è uno straordinario esempio) di “esorcizzare” vicende e personaggi con menzioni fuorvianti: Origene si affannerà infatti a giustificare la scomoda reminiscenza dicendo che Panther era il soprannome di Giacomo nonno di Gesù, mentre Giovanni Mansùr, noto come San Giovanni "Damasceno, nell’VIII secolo, darà certificazione definitiva all’affermazione di Origene nella sua ricostruzione della genealogia di Gesù.

 

Pur apprezzando, in conclusione, la sua precisazione, resto dell’idea che la ricerca debba “volare” ad un’altezza superiore che consenta, allo stato dei fatti, di cogliere gli aspetti più salienti del personaggio oggetto dei nostri sforzi di ricostruzione, sorvolando, quindi, su inverificabili sfumature sulle quali, altrimenti, il dibattito potrebbe inutilmente naufragare.