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Yeshua

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LA CROCE DI SPINE

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LO STUDIO DEI ROTOLI

 

Tuttavia, il governo israeliano riconfermò l’incarico a Padre Vaux (come già detto, svolto in precedenza per conto della Giordania su una sola parte dei rotoli) ed egli, prendendo in carico anche la parte di rotoli precedentemente esaminata dagli studiosi israeliani, riuscì ad esercitare un controllo indiscusso sui componenti della commissione e sugli esiti dello studio che si arrogò di pubblicare.

Padre De Vaux era un integralista, votato alla difesa ad oltranza della dottrina cattolica.

Egli, in quanto tale era più preoccupato (a ragione) di tenere sotto controllo tutto quanto potesse insidiare l’impianto dottrinale posto a fondamento della fede cristiana, piuttosto che promuovere uno studio autentico, privo di condizionamenti e mirato alla scoperta della verità.

Nonostante i silenzi e le reticenze, il mondo scientifico di ispirazione laica comprese subito l’importanza di quei rotoli, e di quell’antico ordine che duemila anni prima aveva nascosto quegli scritti per preservarli, forse, dalla certa distruzione della repressione di Roma, nell’inferno che era scaturito dalla guerra giudaica.

Il monopolio di De Vaux sullo studio dei rotoli, tuttavia, durò a lungo e fu sempre condizionato dalla necessità di evitare che gli esiti dello studio potessero costituire motivo di turbativa nell’interpretazione ufficiale della figura storica di Gesù Cristo.

Soltanto in un tempo relativamente recente (anni 90 dello scorso secolo), sotto la giusta pressione dell’ambiente scientifico ed in particolare del prof. R. H. Eisenman, direttore del dipartimento di Studi Religiosi dell'Università di California (4), gran parte del contenuto dei rotoli fu resa nota e, anche se tuttora la Chiesa si sforza di raccontare a se stessa e al mondo che in fondo poco o nulla cambia, emerge l’immagine storica di un messia profondamente diverso dal “Soter” cristiano.

Oggi, un approccio storico-scientifico serio al Cristianesimo delle origini non può più prescindere dall’ipotesi che il personaggio nascosto sotto le vesti del Cristo paolino abbia avuto a che fare con i movimenti che fanno riferimento a Qumran, e che sia stato egli stesso un esponente di rilievo di questi movimenti che nel I secolo d.c. persero le caratteristiche ascetico- meditative dei periodi più antichi, per ispirarsi al giudaismo messianico e in parte confluire e confondersi nel movimento insurrezionale di quel tempo.

Solo recentemente, la Chiesa cattolica attraverso la penna del Papa, per evitare l'anacronismo al quale si era votata negando per decenni l'evidenza, ha iniziato timidamente ad ammettere la possibilità che " Giovanni il Battista, ma forse anche Gesù e la sua famiglia, fossero vicini a questa comunità"(5).

Benedetto XVI si sarà accorto che con questa affermazione ha ammesso l'appartenenza di "Gesù di Nazareth" ad una comunità che proprio in quegli anni, aveva abbandonato l’innocuo isolamento per abbracciare la causa del movimento zelota (6)?

Il vago possibilismo espresso con l’affermazione che "Giovanni il Battista abbia vissuto per qualche tempo in questa comunità e abbia in parte ricevuto da essa la sua formazione", può portare molto più lontano di quanto Benedetto XVI non abbia voluto spingersi nel suo cauto sforzo di adeguamento alle evidenze storiche.

 

È straordinario come, in solo colpo di penna, il pontefice abbia potuto creare tanto imbarazzo agli stessi “studiosi allineati” alla cristianità ufficiale. Oltre a negare qualsiasi legame di Cristo con la comunità qumranica, pur di allontanarlo con i suoi discepoli dal fondamentalismo rivoluzionario zelota strettamente imparentato con essa, si sono ostinati per anni ad attribuire all’appellativo di “zelota” assegnato all’apostolo Simone, il significato di “colui che ama ardentemente Dio” anziché di appartenente al movimento messianico-insurrezionale tristemente noto.

D’altra parte, si tratta degli stessi studiosi che si sono sempre ostinati a sostenere la tesi secondo la quale l’appellativo di “Iscariota”, abbinato al nome di Giuda, indica la provenienza dalla città di Keriot, anziché lo stato di militante della setta dei “sicari” considerata da Giuseppe Flavio un’ala oltranzista dello stesso movimento zelota.