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Yeshua

 

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LA CROCE DI SPINE
RECENSIONI

 

Enrico Galavotti

 www.homolaicus.it

 

Gli indirizzi di pubblicazione delle recensioni ai singoli capitoli de "La Croce di Spine" sono i seguenti:

www.homolaicus.com/teoria/ateismo/ateismo30.htm; www.homolaicus.com/teoria/ateismo/ateismo31.htm;

www.homolaicus.com/teoria/ateismo/ateismo32.htm ;

www.homolaicus.com/teoria/ateismo/ateismo33.htm

 

 

Lo studioso Enrico Galavotti è il curatore del vasto sito web Homolaicus.com (gia recensito nella rubrica dei links relativi al cristianesimo primitivo): un'autentica introspezione a 360 gradi che abbraccia un ventaglio di tematiche inerenti la storia, la società, la cultura, l'arte e la scienza.

 

Lo spaccato del microcosmo cristiano che Galavotti presenta nei suoi dotti e preziosi approfondimenti, seppure inquadrabile nel denominatore comune dell'impostazione laicista,  presenta peculiarità e divergenze (anche se talvolta solo apparenti) indotte più dall'approccio alle problematiche oggetto di studio che dalla diversità effettiva di vedute con gli altri studiosi.

 

Ho "dato in pasto" il mio libro ad Enrico perchè sapevo che, pur manifestando apprezzamento per i miei sforzi, non avrebbe resistito alla tentazione di suggerirmi interessanti correzioni di rotta e diverse prospettive o "angolazioni di ripresa" per la mia ricerca.

 

Sono questi gli spunti di riflessione sui quali ricostruire o almeno affinare le proprie consapevolezze.

 

Pur credendo nel mio lavoro e difendendone il percorso metodologico e le conclusioni, non mancherò di riflettere sui suggerimenti di Enrico che, in assoluta umiltà, inoltro "per conoscenza" ai visitatori di questo sito e a coloro che hanno letto La Croce di Spine affinchè, come me, possano beneficiarne.

Questioni preliminari
 

In principio era Cascioli
E Cascioli era presso il web
E Cascioli era ateo

Si potrebbe iniziare questa recensione al libro di Giancarlo Tranfo, La croce di spine, Chinaski ed. 2008, parafrasando in maniera scherzosa il Prologo giovanneo.

L'ironia in realtà è relativa, poiché effettivamente Luigi Cascioli risulta essere, per il web laicista, un terminus a quo obbligato, non tanto per la sua controversia legale col parroco di Bagnoregio, quanto per i suoi studi ateistici sul cristianesimo primitivo, come documentano il suo sito e il suo fondamentale testo: La favola di Cristo (2001), che però trova un'anticipazione, seppur non così radicale, nel volume di David Donnini
Cristo. Una vicenda storica da riscoprire, ed. ErreEmme, Roma 1994.

Ciò a dimostrazione che gli studiosi italiani presenti in rete seguono un percorso del tutto autonomo rispetto a quello dell'editoria cartacea specializzata nel trattare argomenti del genere. Il web nazionale si sta conquistando un proprio spazio, spesso di rilievo sul piano dei contenuti, anche se ancora lontanissimo dalla scientificità filologica degli esegeti tedeschi, e sicuramente di più ampia risonanza rispetto a quanto avviene, sul tema dell'ateismo, nell'editoria tradizionale italiana.

Webmaster del sito www.yeshua.it Tranfo è uno degli esempi più eloquenti di quanto sia forte in rete la cosiddetta "interazione-utente"; anzi, nel suo caso, non l'unico in verità, è stata addirittura l'editoria cartacea che ha ritenuto meritevole di pubblicazione un prodotto digitale nato per il web e, se vogliamo, nato anche per essere "politicamente scorretto", come spesso succede in rete a quei webmaster che hanno il coraggio di affrontare il fenomeno del cristianesimo su basi non confessionali. Un plauso quindi al coraggio della casa editrice.

Forse l'unico webmaster che, a tutt'oggi, ha preso seriamente in considerazione questi studi ateistici, partendo da quelli di Cascioli, è stato, sul versante cattolico, mons. Silvio Barbaglia, un docente che ha al suo attivo varie pubblicazioni e che, criticando Cascioli, ha più volte ribadito, peraltro giustamente, che le tesi dell'"agronomo" (come lui stesso lo chiama per dileggio) non sono supportate da citazioni di precedenti fonti ateistiche.

Il che, per il Barbagli, è motivo sufficiente per squalificare l'intero impianto dimostrativo del Cascioli e, quindi, indirettamente - aggiungiamo noi -, quello di tutti i suoi epigoni, tra cui inevitabilmente lo stesso Tranfo, che considera Cascioli "maestro e amico".

Ma è stato proprio qui l'errore di Barbagli (da me sottolineato in vari articoli): l'aver sottovalutato enormemente il fatto che a partire dagli studi di Cascioli la rete si è sentita stimolata ad affrontare la questione del cristianesimo primitivo in una direzione opposta a quella solita del clericalismo nazionale, debitore a sua volta di ricerche ultramontane (franco-tedesche) di un certo spessore. La croce di spine è un esempio eloquente di cosa voglia dire, in campo storiografico, muoversi in maniera indipendente e con sufficiente rigore dalle tesi dell'ufficialità confessionale e, per molti versi, anche da quelle dell'ufficialità "collaterale", che resta non confessionale solo per difendere la laicità dello Stato, ma che poi non apre bocca quando si tratta di svolgere ricerche culturali controcorrenti.

Non si può squalificare l'opera di seri studiosi italiani, solo perché il loro background culturale non può essere qualificato come "ortodosso" (in riferimento agli studi biblistici, esegetici, ermeneutici, linguistico-redazionali... che vanno per la maggiore) o solo perché - come Barbagli ha più volte detto - le loro tesi non aggiungono nulla a quanto già detto, in chiave laicista, dalla Sinistra hegeliana ad oggi.

Anche la chiesa romana (salvo le differenze, tutte interne al clericalismo, dalle confessioni ortodossa e protestante) non ha mai aggiunto nulla di nuovo alle proprie interpretazioni: sono duemila anni che ripete sempre le stesse cose e che ostacola la libertà di pensiero, probabilmente perché si rende conto che una qualunque lettura "eretica" finisce sempre non con lo stimolare una personalizzazione della fede ma, al contrario, con l'ingrossare le fila del secolarismo (nonostante ancora oggi in Italia si faccia fatica a trovare, a livello universitario, una lettura chiaramente "ateistica" del cristianesimo).

Qui però, invece di svelare le possibili fonti di Cascioli, o invece di ricordare la straordinaria storiografia ateistica sovietica, sviluppatasi a ridosso di quella positivistica francese, cui lo stesso Cascioli attinge a piene mani, preferiamo ribadire la tesi di fondo dell'esegesi storicistica, in senso laicista, relativa alla figura di Gesù Nazareno.

Va considerato come un dato assolutamente acquisito - e Tranfo ne prende intelligentemente atto, a differenza degli esegeti di tutte le confessioni cristiane, che si ostinano a negarne l'evidenza - il fatto che le fonti neotestamentarie non sono sufficienti per comprendere l'evento-Cristo, in quanto pesantemente manipolate negli aspetti più significativi, quelli che appunto avrebbero potuto mettere in cattiva luce i cristiani nei confronti del potere romano dominante.

Da tempo vado affermando che l'unica fonte "certa" che abbiamo di Cristo è la Sindone, la cui attendibilità è la riprova che i vangeli e tutto il Nuovo Testamento mentono. L'intera impostazione evangelica che vede in Cristo un pacifico redentore morale universale è falsa, e la Sindone sta proprio lì a dimostrare che il Cristo era in realtà un leader politico-nazionale che lottava per la liberazione della Palestina dai romani.

Si può anche non credere nella Sindone - la stessa chiesa romana, non a caso, la ritiene ufficialmente un falso medievale -, ma non si può non partire oggi, per fare un'indagine un minimo seria e meritevole di ulteriori sviluppi, dalla tesi secondo cui il Cristo è stato crocifisso proprio in quanto costituiva una pericolosa minaccia per gli equilibri di potere che Roma aveva costruito nella Palestina col giudaismo collaborazionista.

In tal senso non val neppure la pena di discutere con quelle posizioni religiose che insistono nel sostenere il lato meramente "spiritualistico" della missione del Cristo: non ci si comprende neppure sul significato delle parole che si usano.

Detto questo, bisogna andare avanti, e dovrà farlo anche Tranfo, perché, nonostante la grande fatica spesa per scrivere questo libro, sarebbe sciocco pensare che il suo pregio stia più nelle risposte date alla controversia su chi ha davvero fondato il cristianesimo, che non invece nelle nuove domande che quelle risposte suscitano.

Una volta appurato il lato "politico-rivoluzionario" del Cristo, quali erano i contenuti del suo messaggio? Questi contenuti possono ancora avere un valore per il presente o ci si deve limitare ad analizzarli da un punto di vista meramente storico? Siamo sicuri che la crocifissione sia stata causata solo dalla volontà reazionaria dei poteri costituiti (romani e giudaici) o non dobbiamo forse pensare che sia esistita anche una sorta di "concausa" da parte del popolo ebraico e persino dei seguaci del Nazareno? Il Cristo presente a Gerusalemme nel periodo pasquale aveva davvero la possibilità di realizzare una rivoluzione vittoriosa, oppure vi era andato nella speranza che il proprio martirio sarebbe servito per sobillare le masse e scuotere il potere costituito? Davvero una piccola nazione come la Palestina avrebbe avuto la possibilità di abbattere il colonialismo romano in quella regione? Cosa sarebbe successo se il Cristo, invece di morire in croce, fosse effettivamente riuscito a disarmare la guarnigione comandata da Pilato?

Sono talmente tante le domande da fare "che il mondo stesso non potrebbe contenere i libri che si potrebbero scrivere"(Gv 21, 25).

                                                                              

Cristianesimo ed Essenismo
 

Un qualunque studioso delle origini del cristianesimo oggi non può non scrivere un apposito capitolo dedicato al movimento esseno di Qumran. Anche Giancarlo Tranfo lo fa, nel suo La croce di spine, intitolando il capitolo 2 forse in una maniera che a un esegeta provetto potrà apparire eccessiva, in quanto pare davvero impossibile scorgere nelle tesi ivi esposte qualcosa di veramente originale rispetto a quanto già detto sul tema nell'ultimo mezzo secolo: "Nuove luci sulla vicenda messianica: i rotoli di Qumran e i Vangeli di Nag Hammadi".

Senza risalire alle grandi diatribe scoppiate negli anni Cinquanta e Sessanta tra A. Dupont-Sommer, W. F. Albright, I. De Fraine, R. de Vaux, J. M. Allegro, C. Roth, M. Hengel, basterebbe infatti leggersi i testi di S. Brandon, tradotti peraltro nella nostra lingua, per avere già un quadro generale delle ipotesi interpretative più significative che ancora oggi attendono riscontri oggettivi convincenti.

Qui tuttavia non vogliamo mettere al vaglio le tesi di Tranfo, facendo pesare le argomentazioni di quegli illustri esegeti che hanno visto nei rotoli di Qumran una nuova occasione per dimostrare le falsificazioni del Nuovo Testamento. Preferiamo invece limitarci a fare semplici osservazioni, nella speranza che uno studioso laico come Tranfo, di cui certamente il web ha bisogno, ne approfitti per proseguire le sue ricerche in maniera ancora più approfondita.

Il sillogismo fondamentale di Tranfo, sulla scia p.es. di altri studiosi che l'han preceduto in rete, come L. Cascioli e D. Donnini, sembra essere il seguente: a Qumran si respirava un clima eversivo, in quanto gli esseni, nel I sec. d.C., erano molto vicini agli zeloti; nei vangeli si riscontrano varie cose che sembrano derivare direttamente da quella comunità (come p.es. la pratica del battesimo e il rito dell'eucaristia, ma anche l'elogio della povertà, l'obbligo di non giurare, i toni apocalittici ed escatologici ecc.); dunque Cristo era un rivoluzionario.

Ecco perché - prosegue Tranfo - nei vangeli non vi è alcun cenno esplicito né agli esseni né agli zeloti; ed ecco perché ancora oggi la chiesa romana tende a negare questo diretto collegamento, salvo l'ammissione probabilistica (fatta di recente anche da papa Ratzinger) di un certo legame, privo però di alcun contenuto politico.

Ora, proviamo a fare altre supposizioni e vediamo se Tranfo sarà in grado di coglierle e di svilupparle ulteriormente, confermandole o negando ad esse un vero valore:

  1. la risposta essenica alla crisi di credibilità delle istituzioni politico-religiose palestinesi era stata sì faticosa (zona desertica, rinuncia ai beni personali, disciplina ferrea, isolamento sociale), ma in fondo pessimistica, in quanto politicamente rassegnata, almeno sino al momento in cui la comunità non decise di lasciarsi coinvolgere nella guerra giudaica scoppiata nel 66 d.C. e capeggiata dagli zeloti;

  2. prima di quella guerra gli esseni avevano subìto l'importante defezione dei battisti, guidati da Giovanni (detto poi il Precursore), il quale volle porre all'ordine del giorno una predicazione ad extra della setta, in grado di coinvolgere le masse urbane. La differenza tra lui e il Cristo, che gli fu coevo, stava proprio in questo, che il Nazareno frequentava le masse urbane nelle loro stesse città, senza chiedere loro di uscirvi per andare a compiere un gesto di penitenza morale che avrebbe rischiato di porsi come fine a se stesso. Il Battista infatti, per dare uno sbocco operativo alla propria missione, ad un certo punto cominciò a contestare la validità giuridica del matrimonio di Erode Antipa. Non arrivò mai a organizzare un movimento popolare di protesta politica.

  3. Il Precursore era uscito dal deserto per stabilirsi in un fiume, per dare maggiore visibilità e incidenza agli ideali essenici, e aveva proposto un battesimo di penitenza per gli umili e per i potenti, nella speranza che si potesse trovare un'intesa comune contro i romani e i collaborazionisti giudei. Tuttavia, quando il Cristo, coi suoi seguaci, gli propose di compiere coi suoi discepoli un'azione dimostrativa contro la corruzione del tempio di Gerusalemme, al fine di indurre la popolazione a emanciparsi dalla sudditanza nei confronti del clero e della religione in generale, il Battista rifiutò, ritenendo il gesto troppo "rivoluzionario". Ciò gli fu fatale, in quanto una parte dei discepoli lo abbandonò per partecipare col Cristo alla cosiddetta "purificazione del tempio".

  4. Finché Gesù resterà vivo, fra nazareni e battisti non vi saranno più rapporti significativi. Ma dopo la disfatta del 70 d.C., che determinerà la scomparsa delle istanze rivoluzionarie sia dei cristiani che non si riconoscevano nel petrinismo, né, tanto meno, nel paolinismo, sia degli stessi esseni, i cui esponenti più irriducibili perirono nell'ecatombe di Masada, insieme agli ultimi zeloti (73 d.C.), le cose mutarono rapidamente e, inevitabilmente, a favore del revisionismo storico. Le Lettere di Paolo, il testo più antico della cristianità a noi giunto, che fino a quel momento non costituivano che una variante minoritaria dell'ideologia petrina, rivolta esclusivamente ai Gentili, divennero la base su cui costruire i vangeli, il primo dei quali, attribuito a Marco, venne redatto subito dopo il trionfo dei Flavi.

  5. Pur avendo sempre evitato qualunque riferimento storico alle vicende del Cristo, la cui morte veniva interpretata in un modo squisitamente mistico, portando alle estreme conseguenze la tesi petrina della "morte necessaria" e della "resurrezione", Paolo si trovò improvvisamente, dopo la propria morte, ad essere considerato come ideale ispirazione per una ricostruzione storica altamente falsificata dell'intera vicenda cristica. Avendo a che fare prevalentemente coi Gentili, Paolo s'era reso conto che un riferimento storico particolareggiato al Cristo non li avrebbe aiutati di un millimetro a credere nel proprio vangelo, proprio perché un qualunque discorso "storico" sulla figura del messia Gesù non poteva non implicare un discorso "politico" circa il suo messaggio, strettamente connesso a questioni di "indipendenza nazionale" da Roma. Ma quando le istanze rivoluzionarie vennero meno, i redattori cristiani poterono cominciare a parlarne senza rischiare che i propri lettori pensassero che le condividevano.

  6. Siccome gli Atti degli apostoli parlano soprattutto degli "atti" di Pietro e di Paolo, noi non sappiamo quale atteggiamento tennero i seguaci del Cristo presenti a Gerusalemme sino alla disfatta del 70, cioè non sappiamo se aderirono alla rivolta armata del 66 o se invece preferirono emigrare dalla città santa e da altre località della Palestina. Possiamo però supporre che quando i primi vangeli cominciarono a circolare, la generazione che aveva seguito direttamente Gesù o che aveva partecipato alla guerra giudaica, era già definitivamente scomparsa o comunque non aveva alcun potere per mettere in discussione le tesi apologetiche (filo-romane) esposte in quei testi. Paradossalmente quindi i redattori dei testi più "storici" del N.T. (i vangeli e gli Atti) sono enormemente influenzati, nelle loro tesi di fondo, dalle posizioni antistoricistiche di Paolo. La storia di Gesù Cristo e della comunità di Gerusalemme fu scritta quasi sotto dettatura dei discepoli di Paolo.

  7. Ciò non poteva avere ripercussioni sulla ricostruzione redazionale dei rapporti tra il Battista e Cristo e, più in generale, tra i cristiani e gli esseni. Dopo aver spoliticizzato al massimo la figura di Gesù, seguendo le indicazioni di Paolo, in modo che sui cristiani non pesasse alcun pregiudizio antisemita né alcun sospetto di sovversivismo, si poteva anche riavvicinare il Battista al Cristo sul piano etico-religioso, prendendo persino dagli esseni alcuni aspetti mistico-rituali (il primo dei quali fu l'eucaristia) che potevano essere messi a capo della nuova configurazione religiosa della comunità cristiana.

  8. La riabilitazione del Battista e quindi, pur senza dirlo, degli esseni rientra nella linea revisionistica inaugurata da Pietro e proseguita da Paolo; è una riabilitazione puramente simbolica, avente uno scopo meramente etico-religioso. Nei vangeli il Battista riconosce Gesù come messia quando del messia Gesù non ha alcuna sembianza politica. Fa eccezione il IV vangelo, ove viene detto in maniera sufficientemente chiara, nonostante le evidenti interpolazioni e manomissioni, che tra Gesù e Giovanni non vi fu alcun rapporto politico organico, in quanto il Battista non accettava il lato rivoluzionario della strategia politica del Cristo. E di quest'ultimo viene detto espressamente che non battezzò mai nessuno: il che lascia supporre che Cristo non abbia mai avuto alcun vero rapporto né con gli esseni né coi battisti. La miglior critica esegetica esclude tassativamente che Giovanni abbia mai battezzato Gesù.

  9. In virtù dei risultati della critica ateistica sarebbe banale oggi sostenere che il riconoscimento, da parte del Battista, della messianicità del Cristo in quanto dipendente dalla sua "figliolanza divina", è cosa del tutto inverosimile sul piano storico. Oggi forse si può fare un passo avanti azzardando un'ipotesi che farà meno piacere alla chiesa romana di quella che considera gli aspetti mistico-rituali del cristianesimo come originari del mondo essenico. E l'ipotesi potrebbe essere questa: Giovanni non fu in grado di riconoscere nel Cristo il messia politico-nazionale non solo perché lo riteneva troppo "rivoluzionario", ma anche perché lo riteneva assolutamente "ateo".

  10. Se questo è vero, allora dobbiamo dire - contro Tranfo - che tutti i possibili agganci evangelici alle tradizioni esseniche non sono una dimostrazione del lato "rivoluzionario" del Cristo, ma, al contrario, il tentativo di negare proprio questa caratteristica. Infatti egli non istituì alcun sacramento (il IV vangelo, proprio nel descrivere l'ultima cena, parla soltanto di "lavanda dei piedi"); il "comunismo primitivo" descritto dagli Atti è sì di derivazione essenica, ma esso non ha nulla a che fare col tentativo di una insurrezione armata contro Roma e il potere collaborazionista giudaico; l'escatologia esseno-zelota presente in tutte le piccole "apocalissi" dei Sinottici (il Discorso sul Getsemani) sono indubbiamente influenzate dall'essenismo, ma non a caso esse si presentano come un'ammissione di sconfitta politica sublimata in chiave mistica. Insomma, se è vero che i più fedeli continuatori del messaggio etico-religioso degli esseni sono stati proprio i cristiani, che di quella comunità presero gli aspetti più mistici, integrandoli con quelli petrini e paolini, è anche vero che questa operazione poté avvenire soltanto dopo aver depurato di ogni riferimento politico sia il Cristo che gli stessi esseni.

Ora però dobbiamo porci alcune domande invitando Tranfo a proseguire le sue ricerche:

  1. il tentativo insurrezionale del Cristo, per come fu impostato, può essere considerato l'ultimo tentativo possibile di un'insurrezione antiromana vittoriosa, oppure esisteva ancora questa possibilità dopo la sua morte? (Qui si può ricordare che il procuratore Floro e la sua guarnigione caddero nelle mani degli insorti di Gerusalemme in pochissimo tempo e persino il governatore della provincia di Siria, C. Cestio Gallo, accorso in aiuto di Floro, dovette ritirarsi con gravi perdite).

  2. Poiché questa possibilità non trovò alcun successo, si deve pensare che ciò dipese dal fatto che non si vollero applicare le direttive che il Cristo aveva indicato, oppure perché in realtà anche il suo tentativo (troppo prematuro?) non aveva in sé alcuna possibilità di successo?

  3. Di questo insuccesso furono responsabili anche i suoi più stretti seguaci? Cioè possiamo sostenere l'ipotesi che i principali responsabili della disfatta del cristianesimo politico antiromano furono proprio quelli che a tutt'oggi vengono considerati i fondatori del cristianesimo: Pietro e Paolo?

  4. Gli esseni furono distrutti una ventina d'anni dopo il fallimento del tentativo insurrezionale del Cristo: quando aderirono alla rivolta giudaica degli zeloti lo fecero con lo stesso settarismo con cui rifiutarono di accettare quella proposta dal Cristo? (Quel settarismo che sicuramente caratterizzò il movimento zelota, che al tempo del Cristo s'era limitato a operazioni di tipo terroristico o di guerriglia limitata nello spazio e nel tempo).

  5. E' possibile sostenere che sino al 135 d.C., data della definitiva distruzione di Gerusalemme ad opera di Adriano, che eliminò il messia Simone ben-Koseba, esisteva la possibilità di una riscossa nazionale contro Roma?

 

Quale verità storica nelle fonti su Cristo?
 

Che i grandi storici dell'epoca di Cristo non riportino quasi nulla delle vicende di questo personaggio, non può essere considerato motivo sufficiente per negargli un'esistenza storica o per sostenere che tutto quanto è stato scritto intorno alle sue vicende rientra nel genere letterario del mito.

Noi non sappiamo quasi niente delle insurrezioni schiavili avvenute in epoca romana, eppure difficilmente le metteremmo in dubbio, anche se Spartaco non fosse mai esistito; come oggi, d'altra parte, consideriamo assodato l'olocausto antisemita dei nazisti, per quanto vi siano storici che con documenti alla mano ne negano del tutto l'esistenza.

Sappiamo bene infatti che gli intellettuali che "scrivono la storia" scrivono sempre la storia dei "potenti" o di chi li paga, cioè di chi permette loro semplicemente di "scrivere" e di "divulgare" i loro testi o addirittura di "vivere" grazie ai compensi dovuti a quella diffusione. Se dovessimo basarci su quanto Tacito scrive a proposito dei Germani, ne avremmo una visione sicuramente molto riduttiva, benché Tacito venga considerato ancora oggi un grandissimo storico.

Questo per dire che l'esistenza di un ribelle come Gesù non ci sarebbe apparsa più credibile storicamente neppure se egli avesse scritto, di suo pugno, un centinaio di rotoli nascosti in qualche grotta di Qumran: inevitabilmente qualcuno si sarebbe sentito autorizzato a metterne in dubbio l'autenticità.

Tutto ciò è acquisito da un pezzo. Probabilmente se il tentativo insurrezionale del Cristo avesse avuto buon esito, i "media" dell'epoca l'avrebbero registrato diversamente. Ma non possiamo illuderci neppure su questo. Se fra mille anni gli storici trovassero soltanto le registrazioni dei nostri telegiornali (infinitamente più potenti e diffusi di quelli di duemila anni fa), difficilmente avrebbero l'impressione che nel nostro paese, pur basato sulla progressiva terziarizzazione, esiste una classe operaia composta da milioni di lavoratori.

Sbaglia quindi chi vuol mettere in dubbio l'esistenza del Cristo, sostenendo non essere rinvenibile alcun cenno di essa nella letteratura non cristiana dell'epoca; né ci si può meravigliare di questi assordanti silenzi per sostenere, contro le verità della chiesa, che la grande attività miracolistica compiuta dal Cristo non poteva in alcun modo passare sotto silenzio.

E' vero, gli storici non potevano registrare un'attività che in realtà non era mai avvenuta (al massimo si può concedere qualche guarigione psico-somatica, alla portata di chiunque s'intenda d'interiorità umana), ma è anche vero che l'attività soprannaturale descritta nei vangeli rientra in una strategia falsificazionista che non può essere considerata tipica soltanto dei redattori dei vangeli. Essa in realtà appartiene a tutti gli autori di quei documenti che ad un certo punto le correnti maggioritarie o dominanti di determinati movimenti politici han voluto far passare come "ufficiali". In tal senso i Vangeli sono un'opera di falsificazione come gli Annali di Tacito o le Vite parallele di Plutarco, e non per questo qualcuno sostiene che Cesare non sia mai esistito.

Tranfo queste cose le sa benissimo. Il fatto è che, purtroppo, gli studiosi laici del cristianesimo, essendo da tempo consapevoli di avere a che fare con fonti evidentemente tendenziose e manipolate a più riprese, al punto da rendere faticosissima una ricostruzione anche solo ipotetica di come veramente poterono andare i fatti, cedono spesso alla tentazione di considerare i personaggi del Nuovo Testamento, nel migliore dei casi, come semplici personificazioni di scontri ideo-politici avvenuti tra opposte correnti ebraiche. In questo assomigliano da vicino agli esegeti laici dell'Antico Testamento, i quali effettivamente a giusto titolo si sentono legittimati ad ammettere che personaggi come Adamo, Abramo, Noè ecc. altro non sono che "personificazioni di distinzioni tribali".

Tuttavia, se nei confronti di vicende e problematiche di 4.000 anni fa è normale limitarsi a considerazioni di carattere storico-sociologico generale, in quanto ormai la verità storica è sepolta nei deserti del Sinai, viceversa, nei confronti del cristianesimo primitivo, le cui fondamenta ideali trovano ancora oggi milioni di persone disposte a edificarci sopra le loro sovrastrutture superstiziose e/o clericali, l'atteggiamento dello studioso laico non può essere remissivo. Egli anzi ha il dovere di scuotere queste fondamenta sino ai livelli di massima profondità, azzardando ipotesi interpretative che mettano allo scoperto ogni possibile falsificazione e proponendo stili di vita decisamente alternativi a quelli religiosi.

In tal senso dovrebbe da tempo essere acquisito che spendere le proprie energie a dimostrare l'inesistenza del Cristo o a ricondurla a semplice variante di vicende allora consuete (il ribellismo antiromano), non porta a risultati apprezzabili a favore dell'ateismo quanto il delineare, partendo dalle stesse fonti neotestamentarie, il percorso mentale che ha portato alla nascita e allo sviluppo della falsificazione mistica.

Qui infatti non abbiamo soltanto il dovere di smascherare delle mistificazioni, ma anche di scoprire, con un faticoso lavoro interpretativo, che cosa questi processi hanno voluto nascondere. Noi non abbiamo a che fare con impostori che hanno strumentalizzato un evento storico, presentandocelo in maniera deformata, per acquisire un potere personale: anche se ci fossero stati casi del genere, non ci interessano.

Qui è presente un dramma storico, i cui protagonisti sono passati da una posizione favorevole a istanze di liberazione nazionale a una che le ha totalmente negate. Un dramma del genere non può essere affidato soltanto alla "storia" e tanto meno alla "chiesa", che l'ha trasformato in una parodia. Ci riguarda tutti da vicino, poiché fa parte del nostro modo di essere.

Di fronte a noi non abbiamo un semplice caso di "invenzione", come generalmente accadeva per gli dèi pagani, ma un caso molto complicato di "falsificazione", in cui un messia politico-nazionale è stato trasformato dagli stessi suoi discepoli in un redentore morale-universale. Delle due quindi l'una: o tutto quanto dicono i vangeli è falso, per cui è impossibile risalire a quanto il Cristo ha veramente detto e fatto, oppure la verità viene detta in mezzo a tante bugie e forse esiste ancora la possibilità di scoprire la verità dei fatti.

Se vogliamo sostenere che di fronte a una documentazione tutta manipolata è praticamente impossibile stabilire una qualche "verità storica", potendo al massimo fare delle supposizioni, noi non faremo un passo avanti in direzione del superamento del cristianesimo. Infatti, se vogliamo a tutti i costi cercare una "verità storica", noi rischiamo di dover fare delle concessioni a qualche aspetto religioso offertoci dalle stesse fonti dell'epoca, le uniche a nostra disposizione, tutte più o meno manipolate dai poteri dominanti, che a un certo punto sono stati quelli stessi del cristianesimo.

Tranfo cade in questa contraddizione laddove p.es. non si limita ad affermare che l'istituzione dell'eucaristia fu un prodotto derivato dall'essenismo, ma aggiunge ch'essa fu voluta dal Cristo nell'ultima cena, memore appunto dei suoi trascorsi nella comunità di Qumran, già trasformata in una base dell'insurrezione nazionale. Una tesi del genere non ci fa uscire dall'interpretazione "religiosa" delle fonti. Noi dobbiamo invece partire dal presupposto che l'esperienza dei nazareni era stata soltanto umana e politica e non aveva nulla di religioso.

Altro esempio. La cacciata dei mercanti dal tempio è sbagliato situarla sulla linea del tempo voluta dai Sinottici (che peraltro racchiudono tutta l'attività del Cristo nell'arco di un anno, quando per la preparazione di un'insurrezione nazionale forse non saranno stati sufficienti neppure i tre anni descritti da Giovanni). Quella "purificazione" non voleva esaltare la figura di un re davidico, che aspira sia al potere religioso che politico: cosa che il Cristo aveva già rifiutato nettamente in occasione della "moltiplicazione (falsificata) dei pani", scandalizzando non poco i suoi seguaci galilei, moltissimi dei quali lo abbandonarono.

L'espulsione dei mercanti va invece vista come il tentativo di dimostrare che la popolazione poteva fare a meno di credere nel clero per una liberazione nazionale. Essa fu così radicale nel proprio laicismo che non venne condivisa neppure dal Battista, il quale infatti dovette subire la defezione di molti importanti discepoli, decisi a passare nelle file del movimento nazareno. Quando il Cristo entra a Gerusalemme la domenica delle Palme, in groppa a un asino, era già chiaro a tutti da un pezzo che nella guerra contro Roma i sommi sacerdoti e i sadducei andavano considerati come il nemico interno collaborazionista, il cui potere, ancora considerevole, andava definitivamente abbattuto.

Questo per dire che più che cercare una impossibile "verità storica" forse sarebbe meglio limitarsi a cercare una "verità umana e politica" nelle vicende del Cristo, ovviamente dopo averle depurate da tutte le incrostazioni di tipo mistico. Questa metodologia è anche l'unica efficace per sostituire l'odierno cristianesimo con un umanesimo laico e democratico.

Il cristianesimo impiegò più di quattro secoli a vincere definitivamente il paganesimo e vi riuscì usando non solo la forza del potere politico (a partire da Teodosio), ma anche la persuasione ragionata, l'esempio pratico e soprattutto la capacità propagandistica e insieme psicopedagogica di far credere vero il falso e falso il vero. Prendiamo p.es. la festa del Natale. I pagani festeggiavano simbolicamente un dio che muore e risorge, rapportandolo al ciclo dell'anno e delle stagioni. I cristiani riuscirono a convincerli che l'unico vero dio a essere risorto è stato Cristo, il vero sole che risorge dopo la lunga oscurità delle giornate di dicembre. I cristiani seppero togliere al paganesimo l'aspetto del ritualismo connesso ai processi della natura, mostrando che le vicende del Cristo contenevano un aspetto di più alta dignità morale e spirituale, rispetto alle vicende degli dèi pagani, dal carattere volubile, prepotente, vanitoso...

I laici devono compiere un'operazione analoga, ma senza infingimenti, semplicemente dimostrando che l'umanesimo laico, democratico e naturalistico è superiore alle "verità cristiane", qualunque esse siano. In tale compito, l'esigenza di andare a cercare la "verità storica" del cristianesimo tradito può risultare un'operazione meramente intellettuale, che non riuscirà a convincere né gli esegeti cristiani né le grandi masse che ancora hanno bisogno di simboli in cui credere. Il mondo laico farebbe meglio a recuperare i significati "pagani" della natura, trasfigurandoli in maniera tale che l'umano non venga tradito dal religioso.

Se non compiamo un'operazione del genere, noi rischiamo di relegare il Cristo alla storia anche nel caso in cui venissimo a scoprire come sono andate veramente le cose. E' infatti facile immaginare che anche quando ci sentiremo pienamente autorizzati a esprimere, con dati alla mano, un parere opposto sull'interpretazione dei fatti evangelici, noi non avremo fatto alcun vero progresso circa la soluzione della diatriba che oppone un'opinione a un'altra.

Viceversa noi dobbiamo dimostrare che la posizione religiosa è falsa proprio in quanto non sufficientemente umana e democratica come quella laica. Il compito che spetta agli storici atei non è soltanto quello di sostenere delle tesi esegetiche opposte a quelle ufficiali, ma anche e soprattutto quello di dimostrare che la verità delle tesi religiose non sta nel misticismo ma nel laicismo. Dobbiamo quindi trovare nelle fonti neotestamentarie quegli aspetti che ci permettono di valorizzare l'orientamento laico-democratico, che è insieme umano e politico. E la base da cui partire è il vangelo di Giovanni, nei cui confronti lo stesso Tranfo è costretto ad ammettere la necessità di "un'analisi molto approfondita".

L’anomalia del IV vangelo
 

Cos'ha capito Tranfo del IV vangelo, cui dedica le pagine 71-100 del suo volume? Una cosa importantissima, ch'esso è la chiave per comprendere gli altri. E' "una fonte che non condivide con le altre alcuna comune radice"(p. 71). Questa semplice constatazione è più profonda di quel che non si pensi.

Il vangelo di Giovanni può essere stato scritto prima o dopo dei Sinottici, scrive Tranfo. Molti esegeti ritengono sia stato scritto dopo, ma sulla base di una testimonianza precedente e più diretta di quella degli autori dei Sinottici, dei quali, in definitiva, soltanto quello di Marco ha un certo valore, essendo esso stesso la fonte principale degli altri due.

Il IV vangelo è insieme il più vicino e il più lontano dalla realtà dell'evento-Cristo. La falsificazione operata ai suoi danni è stata di una gravità proporzionale al suo valore. La storia del Nazareno è stata qui crocifissa con robusti chiodi d'acciaio, forgiati da una raffinata ideologia spiritualistica.

Chi riuscirà a demistificare interamente questo capolavoro della letteratura di tutti i tempi, avrà l'onore non solo di aver inferto un colpo demolitore alla chiesa cristiana, la cui identità e credibilità si regge appunto su quella falsificazione, ma avrà anche il merito di aver riproposto alla considerazione storica un personaggio i cui valori umani e politici possono ancora insegnare qualcosa all'umanità contemporanea.

Dunque quali sono le particolarità del vangelo di Giovanni che saltano agli occhi, una volta messo a confronto coi Sinottici? Quelle elencate da Tranfo sono tutte giuste. Ma dal punto di vista squisitamente umano e politico quali sono? Qui ci saremmo aspettati da Tranfo un'analisi più puntuale e convincente. D'altra parte però lui stesso è ben consapevole delle difficoltà esegetiche che comporta una lettura del genere. "Occorre un'analisi molto approfondita (che meriterebbe uno studio specifico), condotta da un esegeta in grado di decifrare certe chiavi interpretative e quel simbolismo dal sapore iniziatico che governa l'intero testo", così a p. 81.

Ebbene, proviamo a delineare, per sommi capi, i temi fondamentali che meriterebbero "uno studio specifico", in chiave ovviamente laicista.

Anzitutto il rapporto tra nazareni e battisti, con cui esordisce il vangelo. Nei Sinottici è quasi idilliaco, in Giovanni invece è molto controverso. La cacciata dei mercanti dal tempio rappresenta una sorta di spartiacque tra un critica etica del collaborazionismo filo-romano del potere religioso giudaico e una critica direttamente politica, che mette fortemente in dubbio la simbiosi di religione e potere. Il movimento battista si spacca in due e una metà segue i nazareni.

L'essenismo presente in maniera così evidente nel vangelo di Giovanni, è servito, insieme alla gnosi, per mistificare la natura politica di questo testo, anche se gli elementi che vengono presi dall'essenismo venivano usati dalla comunità di Qumran in maniera politica (i "figli della luce e delle tenebre" ecc.), mentre quelli che di questa comunità vengono presi dai Sinottici venivano usati in maniera religiosa (battesimo, eucaristia ecc.). Nel IV vangelo i contenuti essenici vengono svuotati del loro contenuto politico e riempiti di contenuto filosofico-religioso; nei Sinottici invece vengono svuotati dei loro riferimenti giudaici per essere riempiti di nuovi significati pagani (p.es. la resurrezione).

In secondo luogo il rapporto tra nazareni e farisei. Nei Sinottici è conflittuale in maniera aprioristica; nel IV vangelo invece è dialettico, a volte addirittura possibilistico di un'intesa politica non solo anti-romana ma anche anti-sadducea. Il caso di Nicodemo è eloquente: in occasione della cacciata dei mercanti dal tempio egli è costretto ad ammettere che l'iniziativa dei nazareni era stata del tutto opportuna.

In terzo luogo il rapporto tra giudei e galilei. Quest'ultimi vogliono che il Cristo entri a Gerusalemme con la forza delle armi e si autoproclami "messia"; viceversa i giudei si aspettano che il messia si faccia proclamare tale dal popolo. Infatti, mentre nel racconto dei pani (falsamente) moltiplicati Gesù rifiuta il titolo galilaico di "messia autoritario", anche a costo d'essere abbandonato quasi da tutti; durante l'ingresso trionfale nella città santa, seduto in groppa a un asino, egli accetta invece il titolo di "messia democratico" e una grande moltitudine lo porta in trionfo, mettendo nel panico i poteri costituiti.

In quarto luogo il rapporto tra ebrei e gentili e, in particolare, quello tra ebrei ortodossi (i giudei) ed ebrei eterodossi (i samaritani). Mentre nei Sinottici l'anti-ebraismo politico-nazionale è netto, sconfinando persino nell'anti-semitismo, nel IV vangelo invece i nazareni cercano rapporti paritetici, finalizzati al riscatto della Palestina dal giogo straniero, con qualunque etnia e nazionalità, senza mai far pesare ciò che divide (molto significativo in tal senso il racconto della samaritana al pozzo di Giacobbe o la presenza dei greci a Gerusalemme nel momento decisivo dell'insurrezione).

In quinto luogo il rapporto tra nazareni e romani. Mentre nei Sinottici i romani appaiono come esecutori materiali di una volontà omicida contro il Cristo, espressa da tutto il Sinedrio, nel IV vangelo invece esiste un accordo esplicito, consensuale e predeterminato tra forze romane e forze collaborazioniste, intenzionate a por fine a tutto il movimento nazareno.

Oltre a questi rapporti politici vi sono altre cinque questioni da esaminare in maniera approfondita.

La questione della professione di ateismo. Mentre nei Sinottici Cristo dichiara d'essere "figlio di dio" in maniera esclusiva e vi sono persino testimonianze umane (Battista, centurione ecc.) e mistiche (dio, spirito santo ecc.) che ne danno conferma; nel IV vangelo, al di là delle ben note manipolazioni gnostiche, egli si equipara a dio semplicemente per dire che tutti gli uomini sono "dèi"(Gv 10,34). Inoltre, mentre nei Sinottici egli ha atteggiamenti chiaramente religiosi e istituisce persino il sacramento dell'eucaristia, viceversa nel IV vangelo non esprime mai alcun atteggiamento di tipo religioso (non lo si vede mai pregare nel tempio o svolgere funzioni ecclesiastiche e neppure discutere in sinagoga).

La questione dei miracoli. Nei Sinottici servono per dimostrare che Gesù è "dio" o per mistificare aspetti di tipo più etico ed esistenziale che politico; nel IV vangelo invece servono sempre per mistificare eventi di tipo politico (quello più evidente è la resurrezione di Lazzaro, ma significativo è anche quello della guarigione del figlio di Cuza).

La questione della messianicità. Nei Sinottici viene rifiutata dal Cristo perché rischia di compromettere l'interpretazione religiosa della sua missione, nel senso ch'egli è sì "messia" ma non in senso "davidico"; nel IV vangelo la messianicità in senso "davidico" è rifiutata perché non la si vuole in forma autoritaria ma democratica, inoltre non la si vuole unita alla religione ma separata.

La questione del tradimento. Nei Sinottici Giuda è predestinato a tradire, al punto che si ritiene necessario il tradimento onde permettere al Cristo di "morire e risorgere", e quindi di non diventare "messia politico" e di favorire l'uguaglianza morale di fronte a dio dei gentili con gli ebrei (a quest'ultimi viene tolto qualunque primato politico, etico e ideologico). Nel IV vangelo invece Giuda sembra rappresentare l'ala moderata dei nazareni, quella che non ritiene ancora giunto il momento giusto per la rivoluzione (e che quindi si scandalizza al vedere la sorella di Lazzaro anticiparne simbolicamente a Betania il successo). Giuda tradisce soltanto quando si accorge che la rivoluzione era davvero imminente e lo fa temendo che la reazione romana sarà disastrosa per le sorti della nazione. Egli in sostanza esprime le stesse paure del fariseismo dominante.

L'ultima questione è quella della successione apostolica, ovvero quella delle consegne per la prosecuzione del tentativo insurrezionale. Mentre nei Sinottici appare chiaro che il successore di Cristo è Pietro (e ciò viene confermato anche negli Atti), viceversa nel IV vangelo il successore avrebbe dovuto essere Giovanni Zebedeo. Pietro è dunque all'origine della falsificazione del messaggio originario del Cristo, e il primo momento in cui nasce questa falsificazione è all'interno della tomba vuota: Pietro interpreta quell'evento nel senso che Cristo è "risorto", per cui "doveva morire".